di Alessandro Lanzani [email protected]
Due personal trainer sono stati denunciati a Milano per spaccio di sostanze dopanti in palestra.
La notizia, pubblicata sia dal Corriere della Sera che da la Repubblica, conferma che il fenomeno del doping è tutt’altro che superato negli ambienti delle palestre. I due personal lavoravano in più centri fitness del territorio milanese. Nelle loro abitazioni sono state ritrovate scorte di sostanze dopanti proibite: i soliti anabolizzanti. Il mercato nero degli anabolizzanti è sempre continuato nei centri fitness e gli arresti recenti dimostrano che, là dove c’è un’offerta, c’è anche una domanda.
È sul consumo che vorremmo riflettere, più che sull’ennesimo caso di cronaca.
Gli anabolizzanti rappresentano una scorciatoia per raggiungere prima l’agognata ipertrofia muscolare. Quello che spesso si ignora è che sono “farmaci” con effetti collaterali e indesiderati di un certo peso. Nell’immediato danneggiano la funzionalità epatica: un effetto generalmente reversibile, se l’utilizzo è breve e di qualche settimana. Nel medio periodo, il rischio e il danno si spostano sull’apparato cardiovascolare, con un aumento della pressione arteriosa e un aumentato rischio di accidenti cardiovascolari. A lungo termine, due/tre decadi di vita, interferiscono sull’ipertrofia prostatica e sull’eventuale degenerazione neoplastica di questo organo. L’ormone della crescita, il GH, è implicato in un aumento dell’incidenza delle leucemie statisticamente documentata.
Insomma, i danni ci sono e si esprimono diversamente in ogni soggetto.
I consumatori non sono solo culturisti, body builder, ma anche, e soprattutto, appassionati del muscolo a diverso titolo. Il bisogno psicologico di ipertrofia muscolare non sempre accetta fatica, pesi e allenamento. Per questo, molte persone che non sono atleti di culturismo ricorrono con una certa semplicità al consumo di questi acceleratori: il muscolo ipertrofico si può “acquistare” al mercato nero, invece che allenare. Per lo spacciatore è un reato, lo dice la legge, ma per il consumatore è un deficit culturale e un rischio personale.
Nella società dei consumi anche l’ipertrofia si può acquistare e così accade, spesso non conoscendo i danni o sottovalutandoli. Sarebbe troppo pensare a delle campagne informative promosse e finanziate dalle stesse palestre? Sarebbe troppo organizzare un documento semplice e condiviso sui danni del doping da pubblicare on line nei siti dei centri fitness? Un network culturale a costo praticamente zero, ma dal grande significato etico. Si potrebbe pensare a degli adesivi da porre all’ingresso del centro con la scritta “questa palestra è dedopizzata” e così via… Si noti che in entrambi gli articoli si sottolineava che le palestre dove lavoravano i personal non risultavano coinvolte. In effetti, ora che i centri fitness affittano i loro spazi e la loro clientela ai personal è formalmente plausibile; ma è altrettanto vero che questi episodi vanno a discapito di tutto il settore.
Se io fossi un cliente di palestra e chiedessi alla reception: “cosa fate voi per garantirmi che non ci sia un giro di spaccio in questo centro?” Che risposta potrebbe dare la singola palestra? E soprattutto, che risposta può dare il nostro settore?
Forse sarebbe opportuno dare una risposta comune, condivisa e credibile.
Dottor Alessandro Lanzani, specialista in medicina dello sport
In allegato i link degli articoli di Corriere e Repubblica.