Da anni tuona l’allarme “Obesità” eppure nonostante questo gli indici di obesità aumentano nei paesi occidentali. Molti media scrivono di epidemia e dei rischi ad essa correlati. Il mondo sanitario minaccia catastrofi sanitarie e invita al monitoraggio e al controllo in nome della prevenzione e della sicurezza. Ciò nonostante i dati peggiorano e i rimedi sembrano del tutto inadeguati a risolvere i danni sanitari provocati dalla sindrome metabolica di cui l’obesità è parte integrante insieme al sedentarismo.
Lo psicologo Paul Slovic , uno dei massimi esperti di psicologia cognitiva segnala che la percezione del rischio è soggettiva e non oggettiva. “Il pericolo è reale, ma il rischio è socialmente costruito. Così, chi controlla la definizione del rischio controlla la soluzione razionale del problema. La definizione del rischio è dunque un esercizio di potere”
Il mondo sanitario costruisce un rischio salute in termini di allarme e di colpevolizzazione del singolo. Attraverso il concetto di responsabilità individuale si scaricano sulle singole persone tutti i problemi derivanti dal peggioramento delle condizioni di salute derivanti dalla sindrome metabolica.
L’obiettivo è di medicalizzare i singoli trasformarli in malati ansiosi e consumatori di salute: esami, monitoraggi e terapie. In definitiva attraverso l’allarme si cerca di aumentare il fatturato delle imprese che si occupano di salute.
Ma i singoli hanno una percezione del rischio di tipo affettivo e familiare. Gli argomenti sostenuti dalle aziende sanitarie come la riduzione degli anni di vita, e il costo sanitario aumentato sono motivazioni deboli per le persone che vivono una quotidianità fatta di altre scale di valori molto più personali e relazionali.
Si assiste al paradosso che mentre aumentano i dietologi, i medici preventivi, le campagne informative aumentano i dati dei sedentari obesi.
Il meccanismo utilizzato è quello della colpa che fa leva sull’obbligo e sul dovere di adeguarsi agli standard sanitari omologati.
Di fatto l’approccio alla questione sindrome metabolica dimostra di non funzionare. Tutti i modelli autoritari doveristici non funzionano e costano senza risolvere. Cosi come non funzionano alcuni protocolli di attività di fitness metabolica adattata che hanno lo stesso approccio.
Dal 2005 quando abbiamo iniziato per primi a promuovere la metodologia del “fitness metabolico” abbiamo visto che molti formatori e alcune aziende hanno cercato di allinearsi proponendo metodologie sullo stesso argomento. La cosa ovviamente ci ha fatto piacere perché avevamo visto giusto: occorreva completare l’offerta di fitness anche alle categorie dei sedentari.
Il fitness metabolico per funzionare deve essere un protocollo che stimola non solo il miglioramento dei dati ”oggettivi” ma anche e soprattutto la conoscenza o la riscoperta del proprio corpo.
La propiocettività psicologica del corpo e l’accettazione del se. Insomma è il fitness metabolico che deve entrare in relazione con la vita del sedentario e non il contrario.
Nel fitness metabolico la misurazione del miglioramento non deve essere accompagnata da un giudizio d’inadeguatezza ma piuttosto deve enfatizzare i miglioramenti raggiunti. Deve favorire la riscoperta del movimento come esperienza piacevole e gratificante. L’eccesso di monitoraggio è controproducente. L’operatore di fitness metabolico è il protagonista insieme al soggetto metabolico di questo cambiamento i test devono essere semplici e comprensibili, non aggressivi.
La restituzione delle informazioni deve essere di facile comprensione. Il metodo di fitness metabolico che abbiamo sviluppato in questi anni si adatta alle esigenze dei singoli sedentari e non il contrario evitando di puntare sul giudizio sull’allarme e sul rischio. Questa forse è la ragione del suo successo laddove è stato applicato.
Alessandro Lanzani
Medico specialista in medicina dello sport
Autore della metodologia “fitness metabolico”