di Marco Ciervo [email protected]
Nel trattamento del rachide cervicale, l’articolazione atlanto-occipitale merita una descrizione funzionale a sé stante. L’appoggio di connessione articolare tra atlante e occipite consiste in due articolazioni condiloidee parallele simmetriche. La forma ovaleggiante dei condili occipitali si inserisce nelle cavità condiloidee dell’atlante. L’appoggio di connessione tra atlante ed epistrofeo consiste in tre articolazioni: una formata dall’arco anteriore dell’atlante, dal dente dell’epistrofeo e dal legamento trasverso dell’atlante e due articolazioni laterali pari e simmetriche. Se poi intendiamo l’articolazione come organo della propriocezione, essa possiede, oltre ai nocicettori che inviano informazioni circa gli stimoli algogeni (sensazioni dolorose), anche due tipi di recettori sensibili, specializzati nel rilevamento degli stimoli meccanici:
1- meccanocettori a rapido adattamento che, immediatamente allo spostamento, riconoscono le alterazioni delle posizioni articolari;
2 - meccanocettori a lento adattamento, che segnalano la posizione finale e mantenuta dall’articolazione.
I ricettori a rapido adattamento sono, durante il riposo, in stato di quiescenza, mentre si rendono velocemente disponibili durante il movimenti, inviando segnali al sistema nervoso centrale, dal quale ne risulta un’efferenza propriocettiva di continuo adattamento.
Per quanto concerne, poi, la stretta vicinanza di rapporto con i nuclei tronco linfatici, l’articolazione cranio vertebrale è in grado di attivare le regioni mesencefaliche e ipotalamiche molto rapidamente: questo particolare rapporto di afferenze può, nel caso di affezioni articolari, interferire con i meccanismi di regolazione delle funzioni vitali (pressione sanguigna, respirazione, digestione, centro ematico). È evidente quindi che, in caso di affezioni disfunzionali a carico delle articolazioni cranio cerebrali, non si ha solo una reazione dolorosa in loco, ma eventualmente si possono riscontrare anche alterazioni del sistema motorio e vegetativo, vista la particolare struttura in campo recettoriale dell’articolazione cranio vertebrale.
Possiamo quindi valutare tale articolazione come un organo periferico dell’equilibrio le cui informazioni, sommate a quelle provenienti dagli altri sistemi, ne influenzano fortemente la funzionalità. Per qualunque problematica a carico del tratto cervicale, è quindi fondamentale tenere ben presente, in sede di pianificazione terapeutica, la multifattorietà eziopatogenetica della sindrome dolorale, non limitandosi solo all’aspetto meccanico, per non incorrere in un fallimento terapeutico.
L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO NEURO MUSCOLARE
Con questo intento è nato il lavoro del Clinical Pilates che, vertendo principalmente sul “disequilibrio organizzato” (data la postura che deve assumere e mantenere il corpo durante le fasi della seduta), tende a una riprogrammazione neuro muscolare del tronco in generale e del rachide in particolare. Il tutto non tanto per godere di un nuovo potenziale tono e trofismo della muscolatura antigravitaria, quanto per migliorarne la propriocettività e il rilasciamento muscolo fasciale, mediante alcuni passaggi propri del sistema neuromuscolare, del sistema sensitivo e dell’autocontrollo, il tutto attraverso l’uso dei fattori prestazionali, ovvero:
- disequilibrio organizzato con sospensione apicale;
- autocorrezione;
- interiorizzazione posturale/corticale;
- micromovimenti;
- contrazione e decontrazione
progressiva;
- respirazione.
L’appoggio di scarico con vincolo in posizione nucale, per iniziare il trattamento del tratto cervicale, consente di fissare il nostro punto di partenza per organizzare il lavoro neuro posturale.
Solitamente si utilizzano esercizi in flessione, estensione, allungamento e trazione; ognuno di questi è eseguito con l’ausilio di molle ed elastici, o a carico naturale, con obiettivi specifici e peculiari, ricordando che:
1) gli esercizi in flessione si prefiggono di allargare funzionalmente i forami vertebrali e il canale vertebrale, allontanare le faccette articolari, ripristinare la motilità lombo-sacrale e allungare la muscolatura posteriore del tronco (Williams);
2) gli esercizi in estensione si rivolgono al ripristino della mobilità in questa direzione, al recupero della fisiologica lordosi, alla riduzione della tensione sul legamento longitudinale posteriore e sulla dura madre. Per quanto concerne l’effetto sul disco intervertebrale, l’estensione sarebbe in grado di ridurre la protrusione posteriore o postero-laterale (McKenzie) o favorire la reidratazione discale (Magnusson);
3) gli esercizi in allungamento con o senza la pedana pressoria, si prefiggono molti obiettivi comuni a quelli in flessione o in estensione: l’allargamento dei forami e del canale vertebrale, l’allontanamento delle faccette, la riduzione della pressione intradiscale, ma soprattutto la rieducazione del rachide per una migliore e più corretta postura, per la mobilizzazione stessa delle curve sul piano sagittale;
4) gli esercizi in trazione si prefiggono come obiettivo la decoaptazione dei segmenti articolari (due vertebre adiacenti e le articolazioni interposte).
Fatto salvo quanto sopra, il protocollo risulta avvalorato ricordando che questo lavoro di blando stiramento del tratto apicale è necessario per rispondere a delle esigenze prettamente fisiologiche: i paravertebrali, essendo dei muscoli pressoché involontari, non possono essere rilassati volontariamente, quindi risulta impossibile un “controllo” diretto sulla muscolatura profonda del rachide, in particolare poi se ospita algie o aree trigger, la cui formazione e mantenimento è mediato dai riflessi spinali e reticolari. Ecco la necessità di un vincolo che provochi un blando stiramento, il quale può essere interpretato dal SNC come una richiesta di nuovo adattamento propriocettivo a una tensione durale indotta dalla sospensione. È un nuovo modo di trattare l’articolazione occipito atalentoidea e atlanto epistrofea come organo propriocettivo in una visione globale, che dal particolare del rachide cervicale arriva all’universale del rachide in toto nella sua dinamica di rapporti interarticolari, nel massimo della sicurezza sia per il paziente/cliente che per l’operatore.
Marco Ciervo
Classe ’64, dopo il diploma all’Istituto Superiore di Educazione Fisica di Torino, si laurea in Science et Technique des Activitès Pysiques e Sportives presso l’università Claude Bernard Lyon I in Francia. Nel 1995 si specializza in posturologia, con master annuale a Zurigo presso la Scuola Svizzero Francese di posturologia. Nel 2002 si diploma in Massofisioterapia a Perugia. Negli anni si occupa di ginnastica correttiva, ma anche di progetti legati alle attività musicali in palestra. È stato assistente all’Isef di Torino, occupandosi di ginnastica educativa: per anni ha frequentato l’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, lavorando nell’ambito della ginnastica Medica.
www.clinicalpilates.it